Chi sono

Chi sono

Ciao!

Il mio nome è Valentina Bighignoli, sono una ragazza di 23 anni.

Sono dislessica, disortografica e discalculica.

Cosa vuol dire? Beh, ecco, ho una caratteristica che non tutti hanno, posso vedere il mondo con occhi diversi, ho dei “super poteri” che prendono il nome di DSA (Disturbo Specifico dell’Apprendimento).

Ma.. ora voglio raccontarti un po’ la mia storia, per permetti di conscermi meglio.

Iniziamo con tornare indietro di qualche anno, dal momento in cui ho ricevuto la mia certificazione…

Ero in 5 elementare quando, mentre in una normalissima pausa pomeridiana stavo giocando per conto mio quando vidi venire verso di me la mamma.

Perchè era qui? Non avevo detto alla maestra di stare male, le corsi incontro e la salutai.

Salutamo poi la maestra e ci allontanammo.

Io: “mamma dove andiamo?”

Mamma: “ora, andiamo da una signora con la quale farai dei giochi e delle domande e piccole verifiche per poterti aiutare a fare meno fatica quando fai i compiti”

Accettai.

Poco dopo arrivammo davanti a una grande casa, salimmo le scale e ci trovammo di fonte a una signora, colei che mi aveva nominato mamma poco prima.

Dopo i saluti e le presentazioni iniziali, la seguimmo lungo un corridoio, con pareti bianchi e qualche quadro attaccato, che non riesco a ricordare, ed entrammo in una stanza con muri arrancioni.

Le due adulte si parlarono per un po’, la dottoressa faceva diverse domande, alle quali mamma rispondeva. Ascoltavo, non capendo il perché di quelle domande, dei commenti che faceva quando mamma rispondeva e perché, era più concentrata a scrivere al computer che guardarci…Finito tornammo a casa.

Una settimana più tardi arrivò il momento di dover tornare in quella piccola stanza arancione. Questa volta dovetti entrare da sola, feci diversi esercizi di matematica, italiano e giochi di ragionamento e logica.

Erano tutti moltoo difficili, ogni risposta che davo avevo paura di sbagliare, di essere giudicata, avevo il cuore che batteva fortissimo e velocissimo. C’era una parte di me che diceva “non ci puoi riuscire” e l’altra “non ci riesco, ma ci voglio riuscire!”, sembrava che ogni esercizio fosse focalizzato sulle mie difficoltà e voleva farmi sentire più diversa/sbaglata del solito. Come se sopra di me ci fosse una freccia luminosa che mi indicava e diceva qualcosa come “non vai bene”.

Ogni volta che sbagliavo avevo paura di cosa pensasse di me quella signora, ogni volta che facevo un errore e alzavo lo sguardo vedevo un volto di disapprovazione, uno sguardo severo e fronte aggrottata. Uno sguardo che diceva “è un caso perso questa!”. Avevo paura di essere sgridata.

Una settimana ancora più tardi, tronammo in quel edificio, questa volta potei entrare insieme alla mamma. Poco dopo, la signora, allungò il braccio e le diede una busta spiegando che al suo interno vi erano i risultati dei test.

Poi disse: “mi dispiace signora, sua figlia è dislessica”.

Mamma chiese subito cosa significasse e lei continuò: ” significa che, sua figlia non imparerà mai a fare quello che i suoi coetanei fanno, non imparerà mai a leggere, scrivere e fare conti. Resterà sempre a questo livello”.

Ricordo che queste parole fuorno per me molto dolorose, come una pallottola dritta la petto, mi segnarono per molto tempo, e tutt’ora seppur ho accettato la mia caratteristica e la vedo come qualcosa di positivo e bello, a volte, nei momenti di sconforto, di fallimento o difficoltà mi tornano in mente e tornano a essere molto forti, a rimbombare nella mia testa. Spesso ancora mi rimbomba il “mi dispiace, non riuscirà mai a leggere, scrivere e fare i calcoli”.

Quando non riesco a fare qualcosa, penso “non riesco perchè sono dislessica, non ci posso riuscire perchè sono dislessica”, poi mi rendo conto che in realtà non è così, e mi impongo che voglio riuscire e lotto fino a riuscirci, inizio a inventrami nuove strategie per compensare e superare la difficoltà.

E’ un po’ come una ferita, se la lasci stare non fa male, ma se la tocchi o la stuzzichi sì che fa male e anche tanto!

Non capivo, cosa avevo di sbagliato? Perchè non potevo essere come gli altri? Ero forse malata? Un aliena? Avevano ragione i miei compagni che mi guardavano sempre male o non mi volevano vicina?

Grazie alla diagnosi ebbi però molte risposte, sopratutto i miei genitori, ora sapevano perchè facevo così tanta fatica a leggere, sbagliavo a scrivere e ogni volta che facevamo un’esercizio di matematica davo un risultato diverso (la disperazione di papà).

Arrivai in prima media, leggevo come una bambina di prima elementare, ogni parola che scrivevo era indecifrabile per i tanti errori che la componevano, doppie, lettere scambiate o invertite, ecc…

Feci qualche incontro di logopedia, dove non mi trovai per niente bene.

Le spiegazioni e le tecniche che mi venivano proposte mi creavano più confusione e frustrazione che aiuto. Mi venivano imposti meccanismi e strumenti che per me non erano funzionali, non mi trovavo… decisi così di smettere.

Provai anche a frequentare di pomeriggio un doposcuola o come veniva chiamato all’ora un “aiuto compiti” per ragazzi con DSA, ma anche qui non mi trovavo, tutti insistevano con utilizzare le mappe, la sintesi vocale, sillabare le parole e allungare le vocali nel mentre si legge un’altra parte di parola, ma.. Io non mi trovavo, mi trovavo bene con i miei riassunti colorati, con i miei discorsi e storie inventate, a leggermi per conto mio i testi, se più difficili ascoltare mamma che me li raccontava e semplificava, il resto mi suonava tutto a vuoto. Come per la matematica, io mi trovavo bene con i miei colori, i miei ragionamenti e le spiegazioni divertenti che papà cercava di fare per tenermi sul pezzo.

Poi, durante l’estate tra la prima e la seconda media grazie all’aiuto della mamma imparai a scrivere in corsivo, ogni giorno dedicavamo un’ora alla scrittura, ci mettevamo in cucina e tra un gioco e una parola imparai a scrivere.

Ricordo che fui io a chiederlo, dissi una cosa come “mamma tutti sanno scrivere in corsivo, anch’io voglio imparare…” e così feci.

Iniziai a cercare di capire anche la matematica, giocando insieme a papà, per capire come ragionava, come faceva a fare quei calcoli che per me erano impossibili e inventarmi nuove tecniche e strategie.

In terza media decisi che volevo imparare anche a leggere, dovevo inventarmi delle strategie per riuscirci. Volevo riuscire a leggere più veloce, con meno difficoltà e più fluidamente.

Iniziai a tenere il dito sotto le parole per orientarmi meglio sul foglio e non perdere il segno, poi iniziai a dividere le parole in tante piccole parti con delle bolle, unendo le lettere che riuscivo a leggere tra loro e staccando invece quelle che mi risultavano difficili da decodificare.

es. la casa è rossa e gialla. -> la ca-sa è ro-ss-a e g-i-a-ll-a.

Siccome i professori insistevano che tutti della classe dovevano leggere una parte di testo a turno ad alta voce, iniziai a chiedere al mio vicino di banco di leggere lui per me ad alta voce le parole che non riuscivo o correggermi se sbagliavo. Così che, potevo subito andare avanti e la lettura sembrava scorrevole e le insegnanti non potevano sgridarmi perchè ero “lenta” e i compagni non mi potevano prendermi in giro ulteriormente. In cambio gli passavo qualche compito. Si era creata una sorta di alleanza, di aiuto reciproco.

A volte me le suggeriva sotto voce, e io le ripetevo ad alta voce, altre volte, con insegnanti leggermente meno severe le diceva direttamente lui e io andavao oltre leggendo il resto.

Questo mi rendeva molto più tranquilla avevo meno ansia, paura e vergogna ogni volta che dovevo leggere per qualcuno. Ogni volta mi tremava la voce, mi stancavo, vivevo questo momento con il terrore, ma, sapendo di poter contare sul suo aiuto, tutto sembrava meno complicato.

Quando lui mancava perchè magari malato, avevamo nominato un sostituto, il suo migliore amico, che, seppur fosse stato uno di quei compagni che non avevano mai voglia di studiare, e non aveva mai i compiti, era sempre pronto a venire vicino a me e ad aiutarmi. Gli avevamo spiegato il meccanismo, cosa mi serviva, e faceva come eravamo abituati noi.

C’erano poi volte che bisognava scrivere sotto dettatura o copiare dalla lavagna, io ero moltooo lenta e facevo molta fatica, così, succedeva che scrivessero loro e io con calma poi mi mettevo il foglio vicino e copiavo. Altre volte dove le insegnanti volevano che io scrivessi tutto e subito, mettevano il foglio a metà banco, in modo che io potessi vedere il foglio e copiare, quindi scrivevo, loro non si accorgevano che stessi copiando, ma potevo andare con calma.

Seppur di solito leggere la caligrafia scrita a mano risulta essere per me un’ardua impresa, ormai la loro avevo imparato a leggerla, loro si sforzavano di scrivere bene, e io avevo imparato ormai a riconoscere le lettere. Nelle lingue straniere poi, scrivevano in maiuscolo così che io potessi leggere cosa scrivevano oppure, ci scambiavamo i fogli e scrivevano loro per me.

Arrivarono poi gli esami di terza media, dove secondo il PDP (Piano Didattico Personalizzato) avrei avuto diritto ad utilizzare la calcolatrice, i formulari e gli schemi/mappe così come un lettore umano (una persona che leggesse per me) ma, nessuno ne tenne conto, dovetti fare gli esami senza nessun tipo di strumento compensativo e misura dispesnativa (sono previsti dalla L.170 mi sarebbero spettati di diritto!).

Questo perchè, nonostante avessi una certificazione gli insegnanti ritenevano che non ero “abbastanza” (esiste un tanto e un poco?) dislessia o discalculica, e non volevano far favoritismi nei confronti della classe. Ricordo benissimo la risposta “no, non puoi”, provai ad obiettare, ma ovviamente, avevo paura che questo potesse in qualche modo compromettere il mio esame, quindi, mi concentrai e procedetti con le prove. C’era un’insegnante molto carina, di musica, che ogni tanto, vedendomi in difficoltà passava e mi dava qualche aiutino, ma… Certo non era come avere i miei schemi, formulari e calcolatrice.

Iniziai la prima superiore, leggevo finalmente un pochino meglio, non ancora bene, ero sempre lenta e facevo tanti errori ma non leggevo più una lettera alla volta sottovoce prima di dire poi la parola ad alta voce.

Ricordo che, nei primi mesi di scuola, dove i compiti non erano ancora molti lessi il mio primo libro alla nonna, ci mettevamo accanto l’una all’altra, sedute sul divano e leggevo, mi ero imposta che ci sarei dovuta riuscire. Lei quando ero piccolina leggeva sempre per me, mi piaceva ascoltare le storie e ora era arrivato il mio turno, dovevo leggere io per lei, dovevo riuscirci.

Così feci, ci mettei molto tempo, ma lo lessi tutto.

Sempre durante la prima superiore ebbi una professoressa di italiano bravissima, dedicava un’ora alla settimana alla narrativa, ci leggeva dei libri, giocando con il tono e timbro di voce, era davvero bravissima, sembrava di essere al teatro o davanti alla Tv e rimanevamo sempre tutti zitti ad ascoltarla. Metteva un’atmosfera nella classe, accendeva una candela profumata.

Mi affascinava e incantava il suo modo di leggere, volevo imparare a farlo anch’io, costasse quel che costasse.

Ripresi così l’idea delle bolle, che mi era venuta in terza media, e mi misi a riempire ogni testo e parola che incontravo di bolle, giorno dopo giorno imparai a leggere, smettei di disegnare le bolle con la matita, iniziai a immaginarle soltanto, la lettura diventava sempre più fluida e corretta.

Arrivai in terza superiore dove lessi il mio primo libro “gigante”, di 300 pagine in 3 giorni tutto da sola.

Ora riuscivo a leggere tra me e me velocemente, capendo cosa stavo leggendo (cosa non scontata fino ad ora), ma, non mi bastava, volevo imparare anche a scrivere in modo corretto senza più fare tantissimi errori e vedere ogni testo o frase decorata dalla penna rossa delle prof.

Ogni volta che nei temi sbagliavo una parola e mi veniva sottolineata la scrivevo nel diario e tornata a casa guardavo cosa avevo sbagliato e la scrivevo su un foglio, evidenziando cosa avevo sbagliato con dei colori. Piano piano memorizzavo il tutto, parola dopo parola.

Ora, sono in grado di scrivere intere facciate senza errori.

Durante i vari anni scolastici tante furono le lotte per avere i diritti che mi spettavano ma… Ne è valsa la pena!

In quarta superiore ho poi iniziato a studiare le mie difficoltà, in quali situazioni esse si facevano più presenti, cosa provavo, cosa sentivo, come pensavo, come ragionavo e quali erano le strategie che in me funzionavano per riuscire a compensarle.

In quinta ho poi voluto continuare questi studi, iniziando a chiedere anche ad altri DSA come ragionavano, quali erano le loro difficoltà, basandomi inizialmente sulle mie, cercando di strutturare esperimenti da poter fare insieme a loro e cercare di capire meglio la mia, e nostra caratteristica. Non contenta poi decisi di fare le stesse domande e gli stessi esperimenti anche ai miei professori, i miei famigliari e amici normolettori, non DSA.

Tutt’ora sto studiando il mio modo di pensare, vedere, ragionare e vi spiegherò il mio mondo attraverso i post dedicati nella sezione “il mondo visto da una DSA”.

Ho poi voluto continuare quest’avvenuta facendo la tesina di maturità proprio sulla dislessia, volevo riuscire a spiegare ai miei professori e alla commissione perchè a volte mi blocco, a volte mi suona tutto a vuoto nonostante magari due minuti prima ho fatto la stessa cosa con scioltezza e poi, mi suona tutto a vuoto, perchè in un interrogazione non riuscivo a esprimermi seppur studiavo tanto, perchè ero più lenta a scrivere o fare calcoli, perchè sbagliavo riga o parola mentre leggevo, ecc.. Volevo fargli conoscere il mio mondo, il mio modo di pensare e vedere, condividendo con loro le mie scoperte. E così feci.

Era arrivato il momento di essere fiera di essere dislessica e non vergognarmene più. Ora sono davvero felicissima della mia caratteristica e non ne farei MAI a meno.

Tutt’ora mi succede di cadere, di crollare, di avere momenti no, di aver paura di non farcela, di non poter fare qualcosa, di sentirmi diversa o sbagliata, poi però mi rendo conto che non è vero, che non devo e ritorno super felice di avere la dislessia.

Durante l’estate, successiva alla mia maturità decisi di creare la mia pagina Instagram, dove molti di voi hanno iniziato a seguirmi e conoscermi, volevo continaure questo proggetto.

Non contenta poi, un po’ dato dal fatto che Instagram non permette di condividere link e documenti scaricabili in modo semplice decisi di creare il Blog.

Negli anni ho poi provato il test di ammissione di medicina all’Università, che però non sono riuscita a passare, perchè purtroppo non è possibile utilizzare formulari o schemi e gli argomenti sono tantissimi, c’erano poi le domande a crocette, mi accerrime nemiche.

Questo però non fu troppo un problema però, perchè avevo già in mente il piano B, nello stesso momento in cui mi stavo preparando per il test, ero entrata a conoscenza dell’esistenza della figura del Collaboratore all’integrazione, presente nella mia regione, una figura che affianca e segue alunni con 104. Era come realizzare il mio sogno, la mia idea fin da piccola era di poter lavorere con bimbi e ragazzi speciali, quindi… Andava perfetto. Così, dopo aver scoperto di essere stata bocciata all’esame mi sono sicritta al corso di formazione e specializzazione, anche qui ho incontrato difficoltà, sia nel far rispettare i miei diritti, anche se questa volta, ero più preparata, forse perchè più grande, forse perchè ne sapevo di più, non mi sono lasciata scoraggiare. Ci sono stati insegnanti che mi hanno chiesto di leggere ad alta voce, insegnanti che mi hanno detto “no non puoi usare gli schemi”, insegnanti che mi hanno penalizzato ancora un volta alle prove perchè ho fatto errori ortografici, insegnanti che mi hanno detto “non puoi insegnare sei DSA”, insegnanti che mi hanno detto “non puoi insegnare se non sai distinguere destra e sinistra” e tanto tanto altro, ma, non mi sono mai arresa, questo era il mio sogno e dovevo riuscire ad arrivarci. Ho passato tutti gli esami e sono riuscita ad ottenere il risultato.

L’anno successivo ho iniziato a lavorare nel mondo della scuola, e a realizzare il mio sogno nel cassetto.

A distanza di due anni dalla mio inizio lavorativo, ho conseguito l’esame di idonietà e sono diventata di ruolo.

E ora… eccomi qui!